The Acolyte: la recensione dell’episodio finale!

Osha e Qimir nell'episodio finale

Siamo giunti all’ottavo ed ultimo episodio della serie The Acolyte, che chiude in maniera emozionante e struggente alcune importanti linee narrative, che hanno fatto da fulcro per questa prima stagione, e ne apre invece altrettante clamorose in vista di una seconda. Di seguito trovate la mia recensione, come sempre prima senza e poi con spoiler!

Il finale di The Acolyte

Vernestra Rwoh nel finale di The Acolyte

Questa puntata si intitola proprio “The Acolyte”, e ruota infatti intorno alla figura del vero Accolito che finalmente compie i primi passi verso il suo destino. Lo fa attraverso un percorso turbolento e per nulla scontato, che pone in essere anche e soprattutto delle scelte ciniche e delle conseguenze nebulose dell’Ordine jedi. Come detto l’episodio chiude le linee narrative principali che ci hanno introdotti alla serie, e che si sono diramate dagli eventi di Brendok (e non è un caso che la 1×08 sia ambientata proprio lì), e ne introduce ulteriori fornendoci dettagli preziosi sul passato di altri protagonisti.

Anche in questa occasione gli scontri e i combattimenti, oltre ad essere coreografati alla perfezione, ci hanno mostrato elementi di lore che si sono sposati perfettamente con la trama orizzontale della serie. Per non parlare dei due camei principali, che hanno contribuito ad allargare notevolmente la narrazione per un’ormai certa seconda stagione. In questo senso i primi otto episodi rappresentano quasi “un’introduzione” che passo dopo passo ha ampliato la portata degli albori di quella che sarà la lotta tra lato chiaro e lato oscuro nella saga principale, coinvolgendo i jedi e i loro oppositori (sia politici che nella Forza) in maniera subdola, cinica e per nulla scontata. Ma ora parliamo di spoiler, quindi non proseguite se non avete visto il finale!

Resa dei conti su Brendok

Osha dopo aver fatto sanguinare il cristallo kyber della spada di Sol

Dopo le rivelazioni sul passato, le prime sequenze dell’episodio finale di The Acolyte ci preparano alla resa dei conti su Brendok nel presente. Osha e Mae si ritrovano sul loro pianeta natale insieme al Maestro Sol e a Qimir, che anche in questa occasione ingaggeranno un epico scontro senza esclusione di colpi. In questi frangenti avviene il definitivo scambio tra le sorelle, che però ormai sappiamo rappresentare l’equilibrio costante di un singolo individuo tra lato chiaro e lato oscuro. Se all’inizio il lato oscuro era predominante in Mae e quasi assente in Osha, ora è il contrario. Le gemelle infatti vanno viste come un’unica entità in due corpi separati, e in questo abbiamo la metafora di un Force user che lotta costantemente tra luce e oscurità.

Dal canto suo, anche il Maestro Sol dimostra definitivamente di non essere l’affabile jedi che abbiamo conosciuto inizialmente. Egli infatti è convinto di aver agito nel giusto, anche in merito all’assassinio di Madre Aniseya, e non esita ad incolpare Mae per aver fatto degenerare tutto 16 anni prima. Sarà proprio questa convinzione del jedi, unita alla scoperta della verità su sua madre, che porterà Osha a compiere il definitivo passaggio al Lato Oscuro. Sarà lei infatti ad eliminare Sol con un Force choke e a realizzare quella “vittoria metaforica” sul jedi che Qimir tanto bramava, riuscendo a far sanguinare il cristallo kyber del suo ex Maestro. Si tratta di un riferimento di lore pazzesco e anche in questo caso inserito in maniera perfetta, del quale ovviamente vi ho parlato nella ricchissima analisi easter egg.

La scelta di Vernestra

Vernestra con i Senatori

La traumatica eliminazione di Sol porterà quindi le gemelle a ritrovarsi, ma la loro reunion sarà breve. Nel frattempo infatti Vernestra Rwoh le ha seguite su Brendok con una squadra di jedi, e tra i tanti risvolti interessanti sul personaggio scopriamo che Qimir fu proprio un suo ex padawan. Vernestra dimostra ancora una volta un cinismo quasi inimmaginabile nella giovane se stessa del passato: ella infatti sfrutta Sol utilizzandolo come capro espiatorio per insabbiare tutta la faccenda agli occhi del sempre più ingerente Senato Galattico. Sicuramente in cento anni passati da quando l’abbiamo conosciuta è cambiata enormemente, ma io sono convinto che anche in questo caso le questioni non siano così cristalline come vogliono mostrarci e che sotto questo suo comportamento inaspettato ci siano ragioni che ancora non conosciamo.

I camei e l’ampliamento degli assetti narrativi

Il debutto di Darth Plagueis in The Acolyte

E infatti, nella scena finale della puntata, la Maestra mirialana si ritrova proprio a parlare con Yoda, dimostrandoci che potrebbe esserci molto altro sotto. Si delineano così gli assetti narrativi per una seconda stagione che la vedrà più protagonista, ampliando il punto di vista dei jedi e del Senato sugli assetti galattici e politici che porteranno alla trilogia prequel. Sempre in contrapposizione tra i due lati della Forza, nella puntata finale avviene anche il clamoroso debutto in live action di Darth Plagueis, ufficialmente confermato come Muun anche nel canone audiovisivo.

Se da un lato quello di Yoda allarga la prospettiva narrativa sui jedi, il cameo di Plagueis “ridimensiona” la figura di Qimir e lo relega per il momento a semplice Force user oscuro (ma non di certo meno interessante). E’ probabile infatti che il ragazzo sia una pedina nelle mani del Muun, che aspetta il momento propizio per capire chi dei due tra lui e Osha sia realmente degno di essere suo Apprendista Sith. Oppure che ci sia dell’altro, come ho avuto modo di dirvi nell’analisi easter egg. Mancano infatti ben 50 anni alla nascita di Palpatine, e tutto può ancora accadere.

E dopo un finale del genere non vediamo l’ora che venga ufficialmente confermata la seconda stagione. Voi cosa ne pensate della puntata conclusiva di The Acolyte? Ditecelo come sempre nei commenti! E continuate a seguirci anche su FacebookYouTubeTik TokInstagram e Twitter per rimanere aggiornati su tutte le novità di Star Wars.

Gaetano Vitulano: Studente di Giurisprudenza, cinefilo incallito, nel tempo libero promotore della sacra religione di Star Wars come founder de "L'Insolenza di R2-D2". Insolente quanto basta, cerco di incamerare la mia creatività nella scrittura, nell'oratoria, e soprattutto nell'arte della risata.
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