«Tutti hanno bisogno di qualcuno, anche un furfante logoro come questo.»
A quasi due mesi dall’uscita nelle sale del tanto atteso, per non dire temuto, secondo spin-off della saga, faccio ancora fatica a spiegarmi come una pellicola tanto densa per spunti narrativi, omaggi e citazioni, possa aver deluso aspettative e incassi.
Sforzandomi di sopravvivere al Maelstrom degli argomenti che vorrei trattare, numerosissimi, avvio un’analisi in più parti – la prima sarà strutturale, le altre più tematiche – di quello che, a mio parere, diventerà molto presto un classico sempreverde della saga di Lucas, inesauribile, da vedere e rivedere più volte.
Una fabula a molte facce
Solo è un film che procede con una naturalezza quasi disarmante, al punto da apparire perfino semplicistica allo spettatore poco attento.
La storia procede in maniera cronologica, seguendo le strutture tradizionali della fabula, sviluppando un percorso comune a tutti eroi delle fiabe, dei romanzi di formazione e di avventura.
Prologo | Formazione | Peripezie | Gran Finale
Il modello certamente funziona, ma la realtà strutturale è più complessa, dato che risente di numerose contaminazioni teoriche, che cercherò di elencare rapidamente.
Breve elenco delle contaminazioni
- La struttura della fiaba classica si combina a quella della short-story o racconto breve, concentrando tutta la tensione nel finale, che tuttavia serve anche come scioglimento della trama.
- La formazione dell’eroe è ripresa come modello, ma applicata al contrario: Solo ci racconta la formazione dell’anti-eroe, o meglio, l’anti-formazione dell’eroe, perché Han possiede indiscutibilmente tutte le qualità per essere un eroe, ma è inserito in un contesto in cui i buoni sentimenti non bastano per sopravvivere.
- L’influsso del genere della gangster story, fitta di intrighi e gente di malaffare, ruberie, spionaggio, contrabbando e altre cose losche… Il bluff e i bari sono sempre dietro l’angolo.
- La scelta di un finale palesemente aperto, altro grande bluff strutturale, per non dire barato. A carte scoperte, infatti, il cerchio della vicenda di Han Solo risulta a fine pellicola completamente compiuto.
- Il finale ambiguo, di dubbia interpretazione: la speranza della Ribellione, la purezza degli ideali e della vera amicizia si affiancano a un duplice assassinio e a un doppio tradimento traboccanti di Lato Oscuro. Complessivamente, non mi sento di parlare di happy end, né di finale edificante.
La mano bluffata: tra complessità e semplicità
Solo: a Star Wars story è un film che può sembrare semplice, ma è solamente apparenza. L’intera costruzione della fabula, tutt’altro che facile, è gestita con una cura tale da renderla fluida, per non dire liquida.
C’è chi bluffa le carte che non ha, e poi c’è chi, come Ron Howard, gioca dissimulando il punto che ha in mano. Ma il punto è lì, che finge di non esistere, e chi si intende di poker texano o di Sabacc sa che non deve cascarci. Anche perché, a ben guardare, tutte queste costruzioni teoriche non sono che strumenti, risorse da sfruttare con furbizia.
E il vero scopo del gioco, naturalmente, è vincere l’altra partita, quella autentica, che ha che fare con i “nuclei narrativi” del film, da incastonare perfettamente all’interno di questa struttura fluida ma complessa.
Nuclei narrativi e potenziale espresso
Solo nasce e si sviluppa per mostrare allo spettatore tutto quello che aveva solamente immaginato sui trascorsi del contrabbandiere più famoso della Galassia.
Grazie a una sapiente regia e un’impeccabile sceneggiatura, abbiamo così modo di vedere realizzati, in maniera mai banale, tutti quei “nuclei narrativi” fin qui soltanto allusi, ma che costituiscono il denso sostrato e l’identità di personaggi indimenticabili, quali Han e Chewbecca.
Tra questi, segnalo certamente:
- il primo incontro tra i due inseparabili
- la consacrazione come pilota sulla tanto fantasticata rotta di Kessel
- l’ambigua amicizia con Lando e la conquista del Millennium Falcon, autentico oggetto del desiderio degno di una quest medievale o fiabesca
- la motivazione “romantica” di Han alla vita da furfante, del tutto inaspettata ma coerente con il personaggio
Il flusso e le gemme
Ci tengo a sottolineare come tutti questi nuclei, pericolosissimi sia da circoscrivere che da inserire efficacemente in un’unica storia, siano stati invece affrontati con la giusta dose di originalità e freschezza.
Ognuno di questi è sempre ben contestualizzato nel flusso degli eventi, eppure riesce a esplodere al momento opportuno con la giusta forza, monopolizzando la scena e dominandola.
Il senso di stupore e quello di casa convivono in questa pellicola e si alternano a più riprese, a volte si fondono, i confini tra vecchio e nuovo si fanno confusi…
Da un lato c’è la novità che saccheggia la tradizione, dall’altro una tradizione che si lascia derubare, e nel frattempo sorride perché il ladro ha le dita di un’artista. Tra le due parti, perfettamente nel mezzo, c’è lo spettatore, forse invitato a esserne complice (ma di chi?), o forse a godersi lo spettacolo.
In tutto questo, la tensione della storia cresce e giunge al climax nel finale, eppure ogni singolo nucleo risplende, quando viene il suo turno, come una gemma rara, un tesoro di valore. Mi ha stupito, in questo senso, come nessuno di questi nuclei narrativi riesca mai a deludere le attese, o a prevalere oscurandone altri.
Sospettoso ed esigente, lo spettatore si accosta ai vari episodi-chiave e scopre che ci sono tutti, funzionano tutti. Ci aspettavamo molto, da Solo, e Solo ci ha dato di più.
Il rischio dell’armonia
Un film di Star Wars che è una dichiarazione d’amore a Star Wars, ecco come mi piace definire Solo.
Perché è come se un fan accanito della saga di Lucas, uno come noi, in punta di piedi ma con insolenza da vendere si fosse preso la responsabilità – e il rischio – di dare forma visibile a un’intera generazione di fantasie condivise, ma mai rappresentate.
“Sul suo passato c’erano molto indizi, ma non una storia organica e ben raccontata. Ora c’è.”
Ron Howard
Ripenso alla qualità di tutti questi nuclei narrativi, alla sensibilità della fotografia, alla sapienza delle citazioni e della fabula, e non posso non considerare la regia di Ron Howard come un emblema di quell’amore che salva, dando un senso e un’armonia a ogni cosa, anche se difficile.
Il trionfo della citazione
Tra le dichiarazioni d’amore, letterariamente parlando, la citazione e l’omaggio rivestono da sempre un’importazione cruciale.
Ci vuole grande abilità per usare la citazione in maniera originale: non è una cosa che si può improvvisare, perché richiede, nella stessa misura, sia la conoscenza che l’insolenza per sfidare ciò che già si sa, che già si è detto.
Ma come posso raccontare qualcosa senza omaggiare chi mi ha insegnato, o motivato, a raccontare quel qualcosa?
Saper citare serve, perché ci mette sulla scia dei maestri, ce li fa incontrare, ci fa giocare con loro: la citazione è un dialogo che arricchisce i piccoli di oggi e rinnova i grandi di ieri.
Perché c’è molto più gusto se, tra una bravata e l’altra, custodiamo a turno un paio di dadi leggendari; se andiamo a prenderci il coassio indossando una certa armatura; se nominiamo pianeti presenti nei videogiochi…
Quanto più gusto a rubarsi un bacio tra quei mantelli assurdi eppure tanto cari, a ribaltare presentimenti e dichiarazioni d’amore!
Anche sotto questo aspetto, sia la regia che la sceneggiatura di Solo, applicate a un’interpretazione tutt’altro che straniante, denotano una spiccata e ammirevole sensibilità.
A presto con la seconda parte, in cui affronteremo più da vicino il protagonista del film!