Grazie a The Mandalorian, molti di noi si sono affezionati a personaggi come Din Djarin, Grogu, e soprattutto nella terza stagione, Bo-Katan. C’è però un personaggio che, pur rimanendo in gran parte sullo sfondo e passando un po’ in sordina, secondo noi è tra i più affascinanti e riusciti dell’intera serie: stiamo parlando del Dr. Penn Pershing.
Nonostante lo screen time limitato, analizzando attentamente tutte le scene in cui compare, si può notare quanto la sua caratterizzazione sia invece già in partenza interessante e sostanziosa, e come rimanga fedele a sé stessa concedendo al personaggio un’evoluzione non trascurabile e ricca di significato. Merito di un’attenzione ai particolari in fase di scrittura e della splendida performance di Omid Abtahi, l’attore che lo interpreta. Di seguito trovate l’interessante analisi sul personaggio del nostro fan Lorenzo!
Il suo esordio
Partiamo dalla prima stagione, quando ci viene introdotto; ci troviamo subito di fronte ad una persona che non sembra essere al suo posto: interrompe maldestramente un colloquio tra il suo superiore e un pericoloso cacciatore di taglie, segno di nervosismo, pressione, mista anche – come capiremo poi – ad un po’ di eccitazione. Ed è il catalizzatore di una bellissima scena di stallo, in cui capiamo anche quanto sia poco a suo agio in mezzo alle armi e alla violenza. È subito interessante già solo per questo, perché la sua presenza aggiunge varietà al contesto dominato da persone fin lì senza scrupoli (Din Djarin, il cliente, gli stormtroopers), ci fa chiedere cosa ci sia dietro al suo comportamento intimorito e palpitante.
L’interesse cresce nel dialogo successivo, quando, dopo aver capito che si tratta di uno scienziato, abbiamo un conflitto tra lui e lo stesso cliente: è Pershing ad affrettarsi a confermare che “the asset” serve vivo, e quando il cliente afferma di essere disposto a riceverlo anche morto, se necessario, Pershing insiste e non esita a tradire quanto concordato dietro le quinte: non esita ad esporsi e mettere in pericolo se stesso, in maniera maldestra, certo (ma lui non è “fatto” per navigare in quegli ambienti), pur di protestare contro un’azione che avrebbe comportato la morte di colui che avremmo poi capito essere Grogu.
E quando lui e il cliente ispezionano Grogu, c’è una breve ma intensa scena di alto livello: il sorriso sul volto di Pershing quando si rende conto che Grogu è perfettamente in salute, sorriso che si spegne subito quando Pershing si gira verso il cliente. Il messaggio è chiaro: per un attimo si era lasciato trascinare dall’entusiasmo per questa creatura così speciale e in buona salute, ma il suo entusiasmo è stato ben presto smorzato dall’elemento (il cliente) che gli fa tornare in mente la sua missione, evidentemente legata a qualcosa di immorale o pericoloso.
La sua missione
Già qui la caratterizzazione è molto solida per un personaggio così secondario: una persona incaricata probabilmente di una missione scientifica cruciale per i resti dell’Impero, ma con una morale, che tiene alla vita delle taglie, poco avvezzo a quell’ambiente, possibilmente coinvolto contro la sua volontà o comunque non nelle condizioni per lui ideali; e con dei difetti: impulsivo, poco capace di mantenere la calma in situazioni delicate, fin troppo diretto e trasparente.
Il tutto viene coronato dal ritorno di Din Djarin nell’edificio del cliente per portare via Grogu. Inizialmente, quando Djarin origlia dai tetti, è di nuovo Pershing a cercare di difendere gli interessi del piccolo col cliente, determinato invece ad estrarre le risorse necessarie e chiudere la pratica. E quando Djarin penetra nell’edificio ed incontra di nuovo Pershing, abbiamo una scena che arricchisce la sua tridimensionalità e accentua i tratti accennati in precedenza: non solo tiene alla vita del bambino, ma è disposto istintivamente a morire per lui, facendogli scudo col proprio stesso corpo da qualcuno che, per quanto ne sa, ritiene ostile.
Il conflitto in quella scena è eccezionale: Pershing vuole salvare il bambino e crede che Djarin gli voglia far del male; al contempo, Djarin vuole toglierlo dalle grinfie dei suoi committenti e ovviamente ritiene Pershing ostile, tant’è che gli intima di dire cosa ha fatto al bambino con tutto quell’armamentario: e Pershing non esita un istante, trasparente e diretto, ma anche remissivo e “debole”, a cercare di difendersi dicendo che se non fosse per lui il bambino sarebbe già morto.
Occasioni perse
È un peccato che per un bel po’ non lo vedremo più, se non in un messaggio olografico nella 2×04, fino all’inizio della 2×08. Anche in questa situazione rimane fedele al suo personaggio: remissivo e impaurito, e chiaramente in un contesto che non gli appartiene, tanto da non capire la vera natura dell’attacco alla navicella. Una volta catturato, dispiega la sua onestà con informazioni preziose per l’assalto all’incrociatore di Moff Gideon.
Qui, tuttavia, la scrittura risulta un po’ meno ispirata che nei primi episodi della prima stagione, tanto che ci sono opportunità mancate: quella di dare qualche indizio in più sul rapporto tra Pershing e i resti dell’Impero, per esempio facendo in modo che Cara Dune gli chiedesse informazioni sulla sua affiliazione e come fosse finito nelle mani di Gideon; e anche quella di far trasparire più tensione in Pershing quando il discorso verte su dove sia tenuto Grogu.
Il grande ritorno
E veniamo poi alla terza stagione, con un episodio – il 3×03 – che, nonostante non sia ricco di azione e non si concentri sui protagonisti della serie, ha molte virtù dal punto di vista narrativo, grazie proprio al focus su Pershing. Il setup della prima stagione rappresentato dall’eccitazione nel suo sguardo davanti a Grogu viene qui ripreso e trova la sua conferma: Pershing rivela di essere spinto dall’obiettivo di accrescere la conoscenza tramite la ricerca per scopi etici e benefici; prende le distanze dai terribili scopi per cui la sua ricerca fu utilizzata, non senza riconoscersi comunque come in parte responsabile: “Malgrado il MIO riprovevole trascorso…”, “… sebbene io sia pentito”. Cerca un nuovo inizio, dopo aver riconosciuto gli errori del passato.
E capiamo anche la fonte di questa sua motivazione: la perdita della madre che una tecnologia più avanzata avrebbe potuto evitare. È un mosaico tragico: una persona perde chi ha di più caro, si impegna ad aiutare gli altri ad evitare un simile destino, e la sua missione viene distorta da qualcuno che lo trasforma in un mero mezzo per uno scopo esattamente opposto a quello che aveva giurato di perseguire.
Una dinamica non molto diversa da quella di un altro personaggio della saga, che cerca di fare del bene, sforzandosi di evitare che accada del male ai propri cari, cercando di diventare più potente per riuscire nel suo intento, e che per questa sua volontà e abilità viene plagiato e trasformato invece in uno strumento di morte: sì, proprio Anakin Skywalker. Con tutte le dovute differenze, il nucleo essenziale si riduce alla frustrazione nel diventare vitale per una causa ingiusta e odiosa, avendo sviluppato delle abilità mosse in origine da una causa lodevole. Frustrazione che per Anakin non ha trovato altro sbocco che la caduta piena e totale nel lato oscuro.
La sua nuova vita
Pershing non ne poteva più, e finalmente si apre, cerca di cogliere al balzo la nuova opportunità offertagli dalla riabilitazione. Ma la Nuova Repubblica sembra cieca, taglia tutto con l’accetta e non vuol nemmeno sentir parlare di clonazione. Pershing non può arrendersi facilmente, proprio ora che ha la chance di redimersi non solo a parole, ma anche con i fatti. Ed ecco che la sua evoluzione si compie con un conflitto interiore che è tra i più interessanti di tutta la stagione: il dilemma tra, da un lato, il ripartire da zero come persona nuova, abbandonando la ricerca e facilitando il suo reinserimento in società, ma lasciandosi dietro anche il sogno di fare del bene mettendo a frutto il suo principale talento; e dall’altro, il proseguire la sua ricerca, potenzialmente realizzando i propri sogni, facendo onore alla promessa fatta in passato dopo la morte della madre, ma rischiando di compromettere la sua nuova posizione. Pershing viene tentato dalla prima opzione: fa amicizia con altri membri del Programma Amnistia, si interessa a Coruscant, cerca di distrarsi con una nuova vita, un nuovo sé… ma non riesce a togliersi dalla testa che deve tentare la seconda strada, sa che quella è la strada che gli appartiene, lui è quella persona.
Ogni elemento, esplicito o implicito, che gli ricordi la madre e le sue intenzioni iniziali, lo mette in difficoltà, lo fa esitare. Molto apprezzabile il dettaglio di lui che si tocca l’orecchio quando viene stimolato da questi pensieri, sia durante il discorso in pubblico sia durante il colloquio con il droide che gli chiede se nutra risentimenti verso la Nuova Repubblica: non riesce a tradire ciò che sente davvero, vorrebbe non avercela con il nuovo regime ma purtroppo è così, perché gli sta impedendo di lavorare a ciò che si era prefissato e di realizzarsi in quanto persona, di onorare la memoria della madre. Si sente in qualche modo “bloccato” (come si sentiva Anakin nei confronti di Obi-Wan in Episodio II), ed è frustrante. Ma essendo ancora una volta fedele alla sua caratterizzazione di inizio serie, non lo dà a vedere in modo violento, impulsivo; non gli piace la violenza, non fa per lui, e piuttosto soffre dentro, in silenzio.
La tragica svolta
Tutto ciò fin quando, convinto dalla Kane, decide di aprirsi ancora una volta e probabilmente abbassa la guardia di fronte all’entusiasmo di poter raggiungere quello di cui prima lo hanno privato con la forza, e di cui ora lo stanno privando con le procedure, la burocrazia, la cecità. Crede nella Kane perché in fondo se lui stesso sta venendo riabilitato dal Programma, ed è mosso da buone intenzioni, perché non dovrebbe esserlo anche lei? Ritroviamo l’entusiasmo sul suo volto quando, a bordo del Destroyer in disuso, non riesce quasi a credere che tutto quell’equipaggiamento sia a portata di mano. Ancora una volta entra in gioco il parallelo col suo passato, quando era per la prima volta in un laboratorio e sognava di poterci lavorare: non aveva funzionato all’epoca, può funzionare ora.
Stessa cosa che accade poco dopo, quando, essendo vittima troppo debole e onesta degli eventi, viene tradito di nuovo da chi aveva offerto la propria fiducia. Anche qui il suo linguaggio del corpo suggerisce che è preso più dallo sconforto che dalla rabbia; realizzare di essere stato tradito di nuovo lo svuota, lo priva di ogni energia. Quanta forza ci vuole per continuare a lottare dopo che, la prima volta che aveva cercato di fare del bene il suo talento era stato usato contro i suoi ideali, e dopo che la seconda volta, quando aveva cercato di ripartire, qualcuno si era approfittato di lui per incastrarlo e venderlo come un traditore? Troppa. Cerca un’ultima, disperata, inutile difesa solo quando viene messo di fronte alla sanzione del mind flayer, prima che proprio Elia Kane saboti la procedura di ricondizionamento probabilmente facendogli perdere ogni ricordo.
Nonostante questo terribile destino, rivedremo il Dr. Pershing a schermo? Noi speriamo di sì visto il gran bel lavoro fatto fin qui col personaggio, ricco di sfaccettature, conflitto interiore, evoluzione in coerenza con se stesso, nonostante le poche scene in cui è protagonista. Potrebbe essere un elemento propedeutico al prosieguo della storia di Djarin e Grogu, nonché un tassello utile a riagganciare gli eventi della terza stagione di The Mandalorian alle vicissitudini della Nuova Repubblica.
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