Come Obi-Wan ha salvato Luke

Obi-Wan era ubriaco fradicio. Non era una di quelle sbornie facili, quelle in cui stai con gli amici e ridi, vomiti qualcosa e poi la mattina senti mal di testa. Anche perché Obi-Wan non aveva più amici. Era solo, e beveva perché le twi’lek giù al villaggio non gli bastavano più, perché il modellino fatto di sabbia e fango di Tatooine del suo speeder truccato di quando era ragazzino, era stato ultimato troppo presto.

Beveva perché il suo unico scopo nella vita era fare la balia ad un ragazzino demente che pensava solo a giocare a Yu-Gi-Oh alla stazione Toshi. Dovette anche minacciare due ragazzini che gli avevano rubato il deck.

Paura e delirio a Mos Eisley

E quindi Obi-Wan beveva. Grazie al suo addestramento Jedi riusciva anche a mettere un piede davanti all’altro senza cadere di faccia in qualche stronzo di Bantha agli angoli delle case di Mos Eisley. Contava di ritornare a casa in tempo per la replica su Rete 4 della fiction sulla vita del rappresentante in Senato Jar Jar Binks, ma in quelle condizioni non era certo in grado di guidare quel vecchio rottame che si trovava come speeder. Ad un certo punto gli si parò davanti una figura marrone che non riusciva a distinguere, che grugniva minaccioso qualcosa che il jedi non aveva la lucidità di comprendere. Così si accasciò a terra e disse “Un attimo…” e poi svenne.

Al risveglio, Obi Wan si ritrovava sdraiato su di un carro trainato da degli animali, guardando i cocenti due soli di quel pianeta dimenticato dalla Forza. La testa sembrava stesse per esplodergli ed era sudato da fare schifo. Ancora quei grugniti già sentiti. Erano sicuramente dei sabbipodi. Smontavano vecchie Fiat Panda e rivendevano i pezzi a qualche venditore che evadeva il fisco a Mos Espa. Ah, Obi Wan ricordava anche che di tanto in tanto erano soliti sequestrare persone. Si mise lentamente sul fianco cercando di non vomitare la colomba di pasqua del 13 BBY, e tastò con la mano la tunica all’altezza della cintura.

La fine è vicina

“Merda… Mi hanno fregato la spada.” Pensò Obi-Wan. Non poteva perdere la spada, era l’unica cosa che gli era rimasta di sé. Quindi pianse. Pianse così forte che i Sabbipodi si ricordarono di esserselo caricato e ululando, fermarono il Bantha in una gola stretta in mezzo al deserto. Era sicuro che ora l’avrebbero ucciso. Avrebbe potuto usare il trucco mentale, avrebbe potuto affettarli in due nano secondi, avrebbe potuto prenderli semplicemente a calci nei loro marci denti, se solo fosse stato in grado di fare qualsiasi cosa senza distruggersi sui sassi. “E’ finita…” continuò a pensare. “La tua vita non è valsa ad un cazzo, se non a salvare Jar Jar, a creare il più potente signore dei Sith di tutti i tempi e infine a fare da balia a un ragazzino e a quel rincoglionito verde di Yoda.”

Qualcuno lo prese di forza per la tunica e lo gettò di faccia a terra. La polvere gli si alzò attorno e cominciò a tossire forte sentendosi la faccia impiastrata e sporca. Poi girò la testa e alzò lo sguardo. Un sabbipode brandiva una grossa mazza di ferro, pronto ad infliggere il colpo decisivo al jedi. Obi-Wan chiuse gli occhi e pensò, dopotutto, che forse era ora che chiudesse la faccenda. Non era una vita quella. Il sabbipode librò il colpo con tutta la sua forza, ma qualcosa lo fermò prima che esso potesse arrivare alla testa del vecchio maestro. Quel qualcosa aveva attirato totalmente la loro attenzione. Un altro sabbipode ululava concitato qualcosa di incomprensibile, facendo dei segni che indicavano l’altra parte della gola dove erano piazzati. L’altro cominciò a parlarci e evidentemente decisero di lasciar perdere Obi-Wan e andarono via in quella direzione, lasciando il jedi a terra.

Una situazione difficile

Rimase qualche minuto lì stordito, a pancia in su guardando il cielo, pensando che la Forza doveva proprio odiarlo per lasciarlo ancora una volta a vivere quella vita di merda. Decise alla fine che era ora di alzarsi. L’artrosi si faceva sentire più che mai mentre le ossa scricchiolavano; alla fine riuscì ad appoggiarsi ad una rientranza della parete rocciosa ai bordi della gola. Sentì in lontananza rumori esultanti. Quelle merde dovevano aver trovato un’altra preda più grossa. Ritrovata un po’ di lucidità cominciò lentamente a salire la parete rocciosa fino ad arrivare in cima, per guardare cosa stesse succedendo. Quando finalmente ci riuscì, non poteva credere ai propri occhi.

Era il ragazzino ritardato. I sappibodi l’avevano colpito e ora stavano smontando il suo speeder. Ma c’era di più. Con lui c’erano quei due droidi di merda che gli erano sempre stati sul cazzo. R2-P1 e C4piotta, o come diavolo si chiamavano. Uno era satana fatto di metallo e l’altro era uno scassaminchia programmato in maniera tale che sembrasse perennemente che qualcuno gli avesse infilato un palo su per le giunture anali. Erano venti anni che non li vedeva e con un po’ di fortuna qualcuno poteva aver cancellato loro la memoria. O semplicemente faceva così schifo che non l’avrebbero riconosciuto. Doveva fare qualcosa per il ragazzo. Yoda era convinto che quel bimbominchia potesse riportare equilibrio nella Forza, ma l’unica cosa che aveva portato era una malattia venerea a casa per colpa di qualche compagna di scuola non proprio amante dell’igiene.

L’illuminazione

Doveva concentrarsi in quel momento, doveva trovare la forza di instillare paura in tutte quelle menti deboli. Serviva qualcosa di una potenza tale da farli fuggire all’istante. E allora pensò: cosa odiavano i sabbipodi? Il sapone? Gli sbirri? No, serviva qualcosa di più potente. Poi l’illuminazione travolse il jedi con tutta la sua forza. L’idea giusta l’aveva folgorato e ora sapeva cosa fare. Con tutta la sua concentrazione mentale, superando con estremo impegno l’impulso di vomitare, il jedi riuscì a materializzare lontano dai sabbipodi l’immagine di una Fiat Uno Turbo Diesel dell’ 87. Allora i sabbipodi come in un’estasi celestiale lasciarono lo speeder di Luke e si lanciarono all’inseguimento dell’auto dei sogni attraverso il deserto. Sarebbero rimasti offuscati da quella visione per un tempo sufficiente, mentre a chi guardava la scena dall’esterno sarebbe sembrato che quella sottospecie di umanoidi corressero in tondo come degli ebeti.

Obi-Wan era compiaciuto, ancora una volta era stato decisivo per le sorti della Galassia, ancora una volta la sua intelligenza tecnico tattica aveva risolto la situazione, ancora una volta aveva dimostrato di che pasta era fatto. Così si avvio verso il ragazzo, con il cappuccio abbassato, nella speranza che quella caffettiera spaziale non lo riconoscesse.

Michele Vizzani: Laureato in Ingegneria Civile e Ambientale, amante della fantascienza, dei videogiochi, e della pizza. "Il tempo è un’illusione. L’ora di pranzo è una doppia illusione." (cit.)
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