Leoni da tastiera, un commento sbagliato sui social ti costa il lavoro | Con il ‘Codice Trasparenza’ ti beccano ogni giorno

Social licenziato illustrazione (Canva foto) - www.insolenzadir2d2.it
Leoni da tastiera, un commento può costarti il lavoro: il web non dimentica. Adesso rischi grosso, ecco cosa non puoi più fare.
C’è chi crede ancora che un commento scritto “di getto”, magari tra uno scroll e l’altro sui social, non abbia alcuna conseguenza. Si parla, si scrive, si esagera. Eppure, la realtà mostra sempre più spesso che la leggerezza digitale può ritorcersi contro.
Ogni giorno, centinaia di utenti rilasciano opinioni senza filtri, dimenticando che anche un post personale può diventare pubblico. O, peggio, virale.
In tanti pensano che la vita online e quella offline siano due mondi separati. Un meme condiviso, una battuta spinta, un’opinione estrema affidata a un profilo privato sembrano innocui.
Ma quando la visibilità online inizia a intaccare la reputazione di chi l’ha scritto – o peggio, dell’azienda per cui lavora – ecco che le conseguenze legali o professionali arrivano in silenzio, ma con decisione.
Diritto d’espressione e danno d’immagine
Il confine tra diritto d’espressione e danno d’immagine è sottile, specialmente per chi lavora in contesti pubblici o educativi. In rete si moltiplicano i casi di persone licenziate o sospese per post ritenuti “inadeguati”, anche se pubblicati fuori dall’orario lavorativo. In certi casi, come ricordano alcune sentenze, non serve nemmeno un reato: basta infrangere il rapporto di fiducia.
Ma c’è anche chi, oltre al danno lavorativo, rischia una denuncia vera e propria. Diffamazione, incitamento all’odio, molestie: la tastiera può trasformarsi in un’arma. E i tribunali iniziano a prenderne atto con sempre più fermezza. Nessuno è anonimo davvero, e il passato online è più difficile da cancellare di quanto sembri.

Quando il codice etico decide al posto della legge
Nel mondo scolastico, un nuovo caso sta facendo discutere. Elena Maraga, maestra di una scuola paritaria a Treviso, è stata sospesa dall’insegnamento dopo che l’istituto ha scoperto il suo profilo su OnlyFans. Una decisione che ha riaperto il dibattito su cosa può davvero giustificare un licenziamento in Italia. Come spiega QuiFinanza, non esiste una norma che vieti esplicitamente queste attività ai lavoratori, ma la legge consente alle aziende di agire in base a un criterio: la tutela della propria immagine.
Nel caso della maestra, la scuola ha agito sostenendo che l’attività extra-lavorativa non fosse compatibile con i valori educativi dell’istituto. La Fism (Federazione delle scuole materne paritarie) sta addirittura elaborando un codice etico per prevenire casi simili. Anche se la legge italiana non considera illegale aprire un profilo OnlyFans, le aziende – soprattutto nel settore pubblico o educativo – possono comunque decidere di interrompere il rapporto di lavoro se ritengono che l’immagine dell’istituzione sia compromessa.