Non è difficile immaginare il successo che sommerse George Lucas dopo l’uscita di Star Wars nel 1977, inaspettato in primis per il regista stesso. Tutti i media all’epoca parlavano soltanto di lui e del suo avanguardistico film, e le sue interviste fioccavano nelle più importanti testate giornalistiche. Ieri vi ho presentato la prima parte di una di queste, un’intervista fatta dal famoso magazine Rolling Stones, quando la pellicola era ancora nelle sale.
L’intervista aiuta a scoprire come Lucas avesse già ben chiaro il futuro di Star Wars. Leggerla dopo 40 anni è davvero emozionante, poiché si intuisce a pieno l’indole visionaria del regista. Ecco quindi la seconda parte (trovate la prima cliccando qui).
Come sono stati i giorni precedenti alla prima? Ho sentito che hai montato e tagliato fino all’ultimo minuto.
È stato un film difficile perché abbiamo avuto solo 70 giorni per girare sul set e in location. In Inghilterra dovevamo finire alle cinque e mezza del pomeriggio, quindi lavoravamo 8 ore al giorno. Sono stato sui set di Steve (Spielberg) e Marty (Scorsese) e li ho visti girare per 12 o 14 ore di seguito. I produttori volevano che finissimo entro l’estate e anche io lo volevo, quindi eravamo con le spalle al muro.
Quando siamo tornati in Inghilterra pensavo di trovare almeno la metà degli effetti speciali completati, invece c’erano solo tre scene finite e non erano all’altezza di quello che volevo. I responsabili degli effetti speciali lavorano a un ritmo diverso rispetto alle altre unità di produzione, sono soddisfatti se fanno una scena al giorno. Io invece sono convinto che si possa lavorare con gli effetti speciali seguendo la stessa tempistica di un film normale, quindi abbiamo avuto qualche discussione.
Cosa mi dici della colonna sonora di John Williams? È piuttosto emozionante.
Sono molto, molto soddisfatto. Volevamo una cosa romantica vecchio stile, alla Max Steiner.
Si sente per tutto il film, come se fosse una serie. Alla Flash Gordon, ovviamente.
Ci sono 90 minuti di musica su 110 minuti di film. Volevo usare brani di Liszt, Dvorák, anche qualcosa da Flash Gordon, ma John ha detto no. Voleva fare una musica forte, che ricordasse qualcosa di classico in certi punti, ma che fosse completamente originale. È stata immaginata come il classico di animazione Pierino e il Lupo, con una musica per ogni personaggio, che parte ogni volta che questi compare sullo schermo.
Avevo paura della reazione del pubblico: “Oh mio Dio, che cosa fuori moda, come puoi essere così banale?”. Invece la gente ha reagito bene. Mi aspettavo che mi facessero a pezzi su tutto, e facessero a pezzi anche John. Comunque ci sono ancora delle battute nel film che mi fanno trasalire.
In che senso “su tutto”? Pensavo ti riferissi solo alla colonna sonora.
Su tutto, specialmente alla fine quando riparte la colonna sonora, romantica e drammatica. C’è un dialogo banale e uno snodo della trama troppo semplice e scontato.
Forse alcune battute di Mark Hamill sono un po’ banali…
Ma alcune sono anche molto buone. C’è voluta una buona dose di coraggio, non volevo fare un film per bambini e nemmeno un film troppo frivolo. Volevo fare un buon film. Volevo che fosse vero.
Il personaggio di Harrison Ford, Ian Solo, è un po’ al limite, con il suo modo di fare alla John Wayne.
Si è spinto solo fino a dove volevo io.
“Ho attraversato questa galassia in lungo e in largo, ragazzino”…
(Ride) È in linea con il personaggio. Harrison è un attore molto intelligente, abbiamo lavorato cercando di mantenere un equilibrio in tutto. Non sai mai se ci riuscirai, come con la colonna sonora, quindi abbiamo discusso molto su cosa fare, fin dove spingerci per non esagerare. Io ho preso la decisione di seguire fino in fondo la storia, e di dare a tutto la stessa atmosfera un po’ vecchio stile, un po’ divertente, ma anche con tutti gli elementi drammatici ed emotivi possibili.
Uno degli esempi migliori è il personaggio di Peter Cushing, l’ammiraglio Wilhuff Tarkin. Ha delle battute bellissime, per esempio alla fine quando dice: “Abbandonare la stazione adesso? Nell’ora del mio più grande trionfo?”.
Peter Cushing, come Alec Guinness, è un grande attore, e i grandi attori ti portano sempre qualcosa. Soprattutto Alec Guinness: nella sceneggiatura originale non viene ucciso nel combattimento con Vader, ma quando siamo arrivati più o meno a metà della produzione, l’ho preso da parte e gli ho detto che l’avrei fatto morire. Lui ha accettato e ha cominciato a costruire il personaggio e la sua storia di conseguenza.
Si sono arrabbiati i produttori quando hai comunicato loro che Kenobi sarebbe morto?
Molto. Avevo un problema con una scena più o meno a due terzi del film, mi mancava il colpo di scena per renderla coinvolgente. Continuavo a riscriverla, a lottare contro quel problema e a un certo punto mia moglie mi ha suggerito di far morire Ben. Mi è piaciuta subito, perché ha reso immediatamente Vader molto più minaccioso e ha dato più importanza al lato oscuro della Forza che lui poteva utilizzare. Poi, insieme ad Alec, abbiamo avuto l’idea di far continuare a vivere Ben Kenobi come parte della Forza. In una delle prime stesure della sceneggiatura c’era un’idea ancora più potente riguardo alla Forza, una cosa alla Carlos Castaneda in L’isola del Tonal.
Quindi in teoria ci potrebbe essere un sequel sulla Forza, uno sui Wookie, uno su Ian Solo e uno su Luke…
Sì. Era una delle idee iniziali, fare un sequel di tutto. Oppure, se un attore mi dava dei problemi e non volevo più utilizzarlo, fare un sequel con tutti, tranne uno.
Parliamo della scena nel bar su Tatooine. Se ricordo bene, quando stavate girando a Londra c’erano dei problemi.
Stuart Freeborn, il responsabile degli effetti speciali e del trucco, ha fatto un lavoro fantastico per creare i Wookiee, ci ha messo un sacco di tempo e di energia e poi è dovuto correre a creare le creature per il bar mentre stavamo ancora girando in Tunisia. Abbiamo ritardato la scena di una settimana e io nel frattempo continuavo ad aggiungere mostri. Qualche settimana prima di iniziare Stuart è stato male ed è finito all’ospedale, per cui non avevamo tutti i mostri che volevamo.
Quindi quando l’avete finita?
Volevo farla con la seconda unità, ma gli studios hanno detto che non avrebbero mai speso altri soldi, perché avevamo già superato il budget di un milione. Ne abbiamo parlato con Alan Ladd Jr. che aveva seguito il progetto fin dall’inizio ed era diventato il presidente della compagnia. Lui ci ha detto di farlo, ma potevamo spendere solo 20mila dollari, quindi abbiamo dovuto togliere almeno metà delle cose. È stato comunque sufficiente. Volevo che nel bar ci fossero dei mostri veramente folli, orribili e sorprendenti. Ci siamo riusciti, ma non tanto quanto speravo.
La band con il vestito nero è meravigliosa. Perché suonano musica degli anni ’40?
Volevo usare Glenn Miller, ma non potevamo, quindi Johnny ha scritto una cosa simile e secondo me ha fatto un ottimo lavoro. Ha tirato fuori un suono bizzarro, molto anni ’40, ma anche molto strano. Doveva essere una big band in origine, ma ha funzionato lo stesso.
Ogni volta che la nave spaziale di Ian Solo fa il salto nell’iperspazio, il pubblico esulta. È una cosa che adorano.
Tecnicamente è stato semplice. In pratica, il salto nell’iperspazio non è altro che una retromarcia improvvisa delle stelle e un’inquadratura della nave che sparisce velocemente. Soprattutto è stato divertente, anche perché è messa dopo una scena che dal punto di vista del montaggio e dello stile è molto buona, quando le truppe imperiali cominciano a sparare. E poi ci sono due code musicali molto valide.
È una scena di inseguimento.
Non vedi l’ora che scappino e quando lo fanno, succede in un lampo. Non c’è niente che ti possa emozionare come sparare una vecchia nave spaziale nell’iperspazio.
Il successo del film dovrebbe garantire ottimi risultati con la linea di merchandise che hai lanciato.
Una delle motivazioni principali che mi hanno spinto a fare questo film è il fatto che io adoro i giochi. Pensavo: “Potrei aprire una specie di negozio che vende fumetti, dischi a 78 giri, vecchi album rock’n’roll, giocattoli antichi e tutte le cose che piacciono a me, di quelle che non trovi nei negozi normali”. Mi piace anche creare giochi e personaggi, e una delle cose belle di questo film è che mi ha permesso di farlo. E poi ho pensato che le vendite del merchandising e i sequel di Star Wars mi daranno abbastanza per dedicarmi definitivamente ai miei film sperimentali, astratti e assurdi.
Quindi, da oggi in poi, venderai giocattoli e farai solo film esoterici?
Voglio vendere le cose che vorrei comprare io. Sono anche diabetico e vorrei aprire un negozio di hamburger e gelati senza zucchero, perché credo che tutti quelli che non possono mangiare zucchero, come me, si meritino un buon gelato. Non sono mai stato come Francis Ford Coppola, che costruisce imperi giganteschi ed è sempre pieno di debiti e deve continuare a lavorare per mantenerli in vita. Anche se gli riconosco il merito di voler creare un’indipendenza per tutti noi, ovvero la possibilità di non dover sottostare agli ordini degli Studios, che ti dicono quali film fare.
Immagino che i tuoi amici ti abbiano fatto parecchia pressione per farti cambiare idea e non smettere di fare film del genere.
Sì. Nessuno ci crede, soprattutto Francis. Si rifiuta di accettare il fatto che lo farò. Quando dico “ritirarmi”, tutti pensano che me ne andrò alle Hawaii per il resto della mia vita. Non è così, mi dedicherò ai giocattoli e al merchandising e farò il produttore esecutivo dei sequel di Star Wars, in modo da poter avere un’entrata economica e continuare a seguire un progetto che ho iniziato. E poi, chi lo sa? Potrei dirigere ancora qualcosa, ma credo di poter essere più efficace come produttore esecutivo.
Quando uscirà Star Wars fuori dagli Stati Uniti?
In ottobre (1977) uscirà in Europa e il prossimo luglio in Giappone. Mi piace il Giappone, ci ho passato molto tempo perché pensavo di girare lì THX. Mia moglie dice sempre che sono uno shogun reincarnato, o almeno un signore della guerra. Sono curioso di vedere cosa succederà: Star Wars è disegnato su misura per il Giappone.
Ma non è una produzione Toho o un film di Godzilla.
No. Il genere di fantascienza ha raggiunto un livello molto basso in Giappone, è stato spremuto fino all’ultima goccia come da noi in America, perché è stato fatto dalle persone sbagliate. La fantascienza divulgativa è un genere molto importante che non è stato preso abbastanza sul serio, anche in letteratura. Per questo c’è la tendenza a reagire e a essere più seri possibili e pieni di valori, cosa che ho cercato di evitare in Star Wars. Kubrick ha fatto il film più importante per quanto riguarda il lato razionale delle cose, e io ho cercato di fare il film migliore per il lato irrazionale, perché credo che ne abbiamo bisogno.
Viaggeremo ancora su astronavi costruite dalla Stanley Aviation (l’azienda americana che forniva alla NASA i veicoli della missione Apollo), ma spero che ci porteremo dietro una delle mie spade laser e che avremo un Wookiee al nostro fianco. Mi piacerebbe molto se un giorno quando avrò 93 anni qualcuno riuscisse a colonizzare Marte e mi dicesse: “L’ho fatto perché speravo di trovare un Wookiee”.
Considerazioni finali
Insomma, una lunga e meravigliosa intervista che, per molti aspetti, possiamo definire davvero profetica. In questa seconda parte, tra le tantissime chicche raccontate da Lucas, due risaltano sulle altre in merito agli sviluppi futuri. In primis quando si parla di merchandising, visto che Star Wars rivoluzionerà totalmente il concetto di merchandising cinematografico. La seconda, ancor più interessante, la possibilità di fare tanti sequel diversi su vari argomenti o personaggi.
Che, a ben vedere, possiamo considerare come un’idea in fase embrionale degli spin-off di oggi, dei film stand alone dedicati solo ad un aspetto o ad un personaggio. Lucas aveva già da prima dell’acquisizione da parte della Disney delle idee simili, ma scoprire che, seppur per caso, se ne è parlato già nel 1977, è davvero una bella sorpresa. Che dire, la Forza ha agito bene sin dall’inizio! Vi lascio linkandovi di nuovo la prima parte dell’intervista, che presenta altrettanti spunti interessantissimi.
Ringraziamo nuovamente Rolling Stones per questa testimonianza