Episodio IX: il paradosso della risposta

Dettaglio del poster di Episodio IX

«Non devi mai piegarti davanti a una risposta. Solo una domanda può puntare oltre.» J. Gaarder

Lo abbiamo aspettato con la necessità di una chiusura epica, degna e consapevole, in cui ogni cosa, esaurendosi, trovasse il suo compimento. Abbiamo atteso che tutte le tessere, chiare e scure, andassero al loro posto, sapientemente in equilibrio nel mosaico della Forza. Episodio IX ci ha dato le risposte, ma non sono sicuro che siano quelle giuste.

Intermittenze fastidiose

Il salto di Rey sull’Interceptor di Kylo Ren

Episodio IX doveva essere un capitolo chiarificatore. Nitido sia nella luce che nell’oscurità. Tutti i momenti cruciali della pellicola, a partire dall’incipit spettacolare, appaiono invece elettrificati, psichedelici e pervasi da un’intermittenza certamente voluta.

Il motivo è presto detto: dietro ogni scontro, dubbio o proposito di Rey e Ben si intravede l’ombra del Sith che ha fatto dei fulmini di Forza la propria firma. Inoltre il chiaroscuro in stile Shutter Island esprime bene il dissidio interiore, i riflessi continui, la presenza-assenza, l’Equilibrio sul punto di spaccarsi…

Ma tutti questi artifici tecnici vanno a farsi benedire se, invece di arricchirla, ostacolano l’esperienza dello spettatore comune. Troppe volte, amaramente, mi sono ritrovato a distogliere lo sguardo dalle scene cruciali. A fine visione scopro che la Disney aveva messo in guardia i soggetti epilettici a causa della fotosensibilità di numerose sequenze.

Trovo molto grave che il film Star Wars, storico laboratorio di effetti speciali, abbia abusato dei propri strumenti.

Alla ricerca del Villain perduto

Rey di fronte a suo nonno Palpatine

Lato Chiaro. Lato Oscuro. Una tensione, un Equilibrio incarnato perfettamente da Rey e Ben, opposti e complementari. E nel mezzo, Sheev Palpatine(!). Implacabile e demiurgico, l’Unico Imperatore si annida oltre i confini della Galassia tra monoliti oscuri e lampeggianti. Raggiungerlo significa trovarsi al cospetto di un sanguinoso dio pagano. Immenso. Ma anche, e soprattutto, superato e ingombrante. La sua carcassa è putrescente, le sue ambizioni parassitiche.

Il paradosso è che, sebbene sia impossibile cedere al fascino dell’Imperatore in questa nuova veste, volutamente piatta e ripugnante (qualcuno ricorderà il mio confronto tra Palpatine e Il Principe), i campioni Disney del politically correct hanno un disperato bisogno di lui.

Unico vero Villain e capro espiatorio di tutta la malvagità della Saga, Sheev Palpatine, chissà come, è sopravvissuto al Riequilibrio del Prescelto. Sempre chissà come rivela amori clandestini, figli segreti e nipoti insospettabili (non per ottusità nostra): la sua altruistica benevolenza verso Rey, oltretutto, ha del paradossale.

Ancora, sempre chissà come, l’Imperatore scova antichi pianeti fuori dallo spazio e dal tempo, assorbe tutti i Sith, tira i fili del Primo Ordine e si crea una flotta dal niente (ricorderete che nella trilogia prequel le cose non erano state così semplici).

Spero vivamente che ciò sia spiegabile attraverso altre fonti canoniche, ma una storia che non basta a se stessa non è mai una costruzione riuscita. Insomma: cosa non si fa pur di avere un Villain degno di questo nome. E per redimere tutti. (Ma non doveva esserci Equilibrio?)

Rey, come in una fiaba

Rey nel finale di The Rise of Skywalker

La mela (stregata) non cade mai troppo lontano dall’albero, e in fondo dovevamo aspettarcelo. Ingenui tutti, me compreso, a credere che nel castello delle fiabe gli eroi non debbano sempre avere un lignaggio.

Secondo la legge della fiaba, la piccola cerca-rottami doveva necessariamente legittimare le sue conquiste scoprendosi Principessa. Ma è una necessità amara, che vanifica lo sforzo più poetico di questo “ciclo dell’Eredità”. Non serve essere figlio di Skywalker per sorgere nella Forza, ci era stato detto: qualunque bambino senza storia può chiamare a sé una scopa e trasformarla in una spada laser.

Con Episodio IX, nostro malgrado, scopriamo che non è così: che lo si accetti o rinneghi, il nostro destino rimane una questione di sangue. E il messaggio, alla fine di tutto, è che se Rey non fosse stata una Palpatine non avrebbe avuto la sua ascesa come Skywalker. O che c’è un piccolo Imperatore in ognuno di noi. In ogni caso c’è da rabbrividire. E da pensare ad Anakin, l’unico vero figlio di nessuno, il solo e irraggiungibile padrone di quell’elmo accartocciato, deforme ma ancora così pesante.

Una rincorsa cerimoniosa

La nostra Leia nel trailer di Episodio IX

Sapevamo che Episodio IX avrebbe avuto il sapore di un addio. Omaggi e camei, citazioni e congedi traboccano di gratitudine verso i luoghi storici, i personaggi e gli addetti ai lavori della Saga. Carrie Fisher, Mark Hamill, Harrison Ford e John Williams, giusto per citare i maggiori (degno di nota il riarrangiamento “spettrale” della Marcia Imperiale tra le macerie della Morte Nera).

Un simile addio, nel complesso, avrebbe dovuto essere struggente e totalizzante. A un certo punto, invece, ho avuto la sgradevole sensazione di assistere a un’interminabile scaletta di saluti. O a una sfilata di attori a caccia di applausi prima che cali il sipario. Beneducata e corretta, certo, ma anche reticente e sbrigativa. Il Figlio di Nessuno, il cui elmo torreggia invincibile, non ha avuto la gloria e il ringraziamento che meritava.

Duelli, sceneggiatura e congedi

Rey e Kylo Ren nelle rovine della sala del trono dell’Imperatore

Questa “fretta del dire e del fare” – perché c’erano troppe cose da dire e da fare – si è riversata, com’era facile immaginare, anche nei duelli e nei dialoghi della pellicola. Li ho trovati inconsistenti, poco “presenti” e troppo “passati” e/o “futuri”.

La scena dei Mille contro Mille, invece di essere liquidata con un groviglio di voci, lampeggiamenti e due spade incrociate, poteva trovare una resa visiva accessibile e felicissima (chi ha visto gli Spettri sui Campi del Pelennor sa di cosa parlo). Lo scontro tra Rey e Ben non è stato all’altezza delle coreografie di Episodio III né della tensione emotiva di Episodio VI. Non entro in merito alle questioni schermistiche.

Un immenso Adam Driver si è dovuto accontentare di un gruppo di comparse inutili come antagonisti. Di arrivare davanti al nemico finale e farsi sbalzare via. Di sacrificare il suo fato da Villain per rincorrere la principessa a cui strappare un bacio che sa di fan-service. Gli Skywalker dovevano uscire di scena con il lieto fine, e così è stato… almeno per la Disney e il fandom “vero” dei sondaggi.

Verso un didascalismo sbrigativo

Luke Skywalker ed R2-D2. Da: Vanity fair

Ciò che mi ha sempre affascinato di Star Wars è che dietro le sue iconiche navi spaziali, armi al laser e federazioni aliene si celano questioni profonde che riguardano ognuno di noi.

Le filosofie Jedi e Sith raccontano la tensione dell’uomo tra luce e oscurità. L’Impero e la Ribellione incarnano la dicotomia Ordine-Libertà e invitano a una riflessione consapevole, critica e morale, sui totalitarismi e le loro ideologie. In Episodio VIII, con coraggio e sensibilità, perfino il leggendario Luke Skywalker si è messo in discussione.

Ma in Episodio IX non c’è tempo per farsi un esame di coscienza: bisogna correre, correre, correre… fa nulla se non siamo pronti. Se ci sentiamo sovrastati da un’ombra. Perfino il didascalismo esistenziale dei Maestri diventa più sbrigativo, pragmatico. Va tutto bene, siamo noi quelli buoni. Spada in pugno e via. Incredibile come da fantasmi di Forza tutto diventi più semplice. O superficiale.

Episodio IX sotto esame

Rey in Star Wars The Rise of Skywalker

Ma non sono solo le risposte dei Maestri a farsi più spicce. In generale tutte le risposte di Episodio IX lo sono state. Le domande a cui rispondere erano molte, è vero, una specie di esame di maturità. Peccato che di fronte a esse, nel momento decisivo, il maturando abbia tremato. Si è incartato nei toni, ha risposto evasivamente o con giri di parole, arrivando al cuore delle questioni troppo presto o troppo tardi.

Pur promettendo bene, Episodio IX è un film che ha studiato per l’esame, non per la vita. Cosa non si fa, pur di rispondere a ogni costo, con il peso delle aspettative addosso e delle compiacenze altrui (botteghino e taccuino dei saluti incluso).

La Forza della domanda

Kylo Ren nelle prime sequenze di The Rise of Skywalker

In un romanzo di J. Gaarder, C’è nessuno?, due bambini, uno terrestre e l’altro venuto dallo spazio, si confrontano sulle grandi questioni della vita. Il bimbo alieno ha una strana abitudine: si inchina sempre di fronte alle domande. Più la domanda è profonda, più profondo è l’inchino. Inchinarsi a una risposta, invece, lo delude e lo irrita. Forse perché le risposte non sono sempre all’altezza delle domande che si fanno. O perché una risposta, corretta o scorretta che sia, definisce il nostro sguardo in una prospettiva limitante.

Ci hanno dato delle risposte da mandare giù e seppellire sotto la sabbia. Con l’approvazione di spiriti ammiccanti, su un pianeta dai tramonti e dagli inizi infiniti.

Risposte di fronte alle quali, come quel bambino alieno, scelgo anch’io di non piegarmi. Desidero continuare a guardare lontano, all’orizzonte. Ripartire da quelle domande e farmene tantissime altre. E puntare sempre oltre.

Francesco Battaglia: Sono nato il 21/09/1990 e vivo di storie: letteratura e cinema; storia e mitologia; fumetti e videogiochi: tutto è parola, tutto è narrazione. Quando posso cedo al Lato Oscuro e mi trasformo, da lettore avido quale sono, in insegnante di Lettere e in autore. Tra le mie pubblicazioni: L'ascesa del Campione, Ceneri scarlatte e Storie di Nigmàr.
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