Normativa aziendale, non rispondi alle mail entro 48 ore: adesso possono licenziati se non hai il certificato | Nuova legge trappola

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Normativa aziendale: se non rispondi alle mail entro 48 ore rischi il licenziamento, guai se non hai il certificato.

In un’epoca in cui l’efficienza digitale è diventata un indicatore di affidabilità sul lavoro, anche il tempo di risposta a una semplice email può trasformarsi in un parametro cruciale. Un’assenza prolungata o una mancata comunicazione possono essere interpretate non più come semplici dimenticanze, ma come veri e propri segnali di abbandono dell’impiego.

La pressione a dimostrarsi costantemente presenti e reattivi è alimentata da un sistema sempre più automatizzato, dove i silenzi vengono letti come decisioni. I datori di lavoro, sostenuti da nuove disposizioni normative, ora possono muoversi con più decisione in caso di prolungata inattività, anche se non formalmente comunicata. Questo approccio sta modificando radicalmente il concetto di disponibilità professionale.

All’interno delle aziende, cresce la tendenza a considerare l’assenza non comunicata come un comportamento che può rientrare nelle cosiddette dimissioni per fatti concludenti. Anche un ritardo nella risposta a una mail o la mancata giustificazione dopo pochi giorni può essere percepita come una volontà implicita di non proseguire il rapporto.

Ma qual è il limite? La normativa chiarisce che non è solo questione di tempi, ma anche di procedure da seguire. E per chi lavora da remoto, le regole diventano ancora più stringenti, perché l’assenza si misura anche in termini di non reperibilità digitale.

Assenza prolungata e dimissioni implicite: cosa cambia

La circolare n. 6/2025 del Ministero del Lavoro, in attuazione della legge n. 203/2024 (Collegato Lavoro), ha introdotto un nuovo meccanismo: se il lavoratore si assenta senza giustificazione per un periodo superiore a quanto previsto dal contratto collettivo – o, in assenza di tale indicazione, oltre i 15 giorni consecutivi – l’azienda può attivare una procedura che conduce alla risoluzione del contratto per dimissioni implicite. In pratica, si interpreta l’assenza come una volontà tacita di abbandonare il lavoro.

Come specifica Brocardi, non si tratta di una cessazione automatica: è l’azienda a dover notificare l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, avviando così l’iter. Da quel momento, parte il conteggio per l’invio del modello Unilav che ufficializza la fine del rapporto. Il lavoratore, però, può ancora evitare il licenziamento se dimostra, con prove concrete, che l’assenza era dovuta a cause di forza maggiore o a ostacoli indipendenti dalla propria volontà.

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Email ignorate, malintesi digitali e rischi concreti

La normativa, pur non menzionando direttamente il mancato riscontro alle email, apre uno spiraglio interpretativo che, in contesti aziendali digitalizzati, può tradursi nella valutazione della mancata risposta come elemento sintomatico di abbandono. Se il lavoratore non risponde entro tempi ritenuti congrui e non fornisce motivazioni, l’azienda può documentare il silenzio come assenza non giustificata, facendo scattare la segnalazione all’Ispettorato.

Chi lavora da remoto, o in smart working, è quindi particolarmente esposto. L’assenza di connessione, il silenzio prolungato o la mancata reperibilità potrebbero essere interpretati, alla luce della nuova legge, come intenzioni implicite di dimettersi. E senza un certificato medico o un impedimento oggettivamente documentabile, il rischio di perdere il lavoro diventa più che concreto.