La nuova Lucasfilm, la Terza Trilogia e il futuro di Star Wars
E’ il momento di tirare le somme per la gestione Lucasfilm a marchio Disney. Prendiamoci un momento e ripercorriamo insieme gli ultimi anni di storia di Guerre Stellari!
Sarebbe sbagliato e parziale dire che cominciò (o ricominciò) tutto il 30 ottobre 2012, con l’acquisizione di Lucasfilm, mentre le famiglie di mezzo mondo erano impegnate ad intagliare zucche di Halloween e sulle televisioni statunitensi andava in onda la quinta stagione di Star Wars: The Clone Wars.
Sarebbe infatti sciocco illudersi che una trattativa per 4,05 miliardi di Dollari sia nata e finita in una manciata d’ore. Ciononostante, un po’ come quando si guarda un film o semplicemente quando si è impotenti o incuranti di approfondire un tema ci “limitiamo” ad un atto di fede e diciamo che dal 30 ottobre 2012 la Lucasfilm, azienda fondata nel 1971 da Lucas (due anni prima di “American Graffiti“) diventa una proprietà Disney.
La nuova Lucasfilm
Lo stesso giorno la Disney dà, insieme all’annuncio di acquisizione della compagnia californiana, un ulteriore annuncio: la messa in produzione di un nuovo Star Wars. 4,05 miliardi di Dollari sono tanti, anche per le tasche del colosso mondiale dell’entertainment e la Disney è determinatissima a far fruttare il suo investimento.
Inizialmente la Disney conferma la messa in produzione di Episodio VII, successivamente arriva a delineare un piano di rilasci cinematografici in grado di far impallidire qualsiasi fan (e non) della saga.
Parliamoci chiaro: eravamo rimasti orfani di film e materiale live action, vivevamo appesi alla promessa di una serie TV che veniva rimandata anno dopo anno e soprattutto molti erano delusi dei prequel, dai quali Darth Vader usciva sminuito nella sua maestosità anziché ulteriormente esaltato.
La programmazione
Kathleen Kennedy, co-produttrice storica di Indiana Jones, Jurassic Park, Chi ha incastrato Roger Rabbit, E.T., Schindler’s List, Il Sesto Senso (notare che dalle mani di questa signora sono passati alcuni dei film più iconici degli anni ’80-’90) viene messa a capo della neo-acquisita compagnia e annuncia qualche anno dopo (2014) in pompa magna per il quinquennio 2015-2019 “Uno Star Wars all’anno, ogni anno“.
Come per tutti i cambi di proprietà, il processo di acquisizione miete vittime, alcune delle quali particolarmente illustri: la LucasArts, leggendaria software house responsabile della decennale tradizione di sviluppo di videogiochi viene chiusa e George Lucas viene estromesso in toto dal processo creativo dei nuovi contenuti.
Trilogia, spin-off, fumetti e serie tv
Cinque film: tre costituenti una trilogia, due altri saranno spin-off narranti pagine di storia aggiuntive della galassia lontana lontana.
La Lucasfilm – e più in generale la Disney – hanno fame di gloria: possono gestire tutta la proprietà internamente all’azienda capogruppo.
Solo tre anni prima, nel 2009, la Disney aveva comprato la Marvel e questo ha fornito la possibilità alla nuova Lucasfilm di tornare alla casa dell’Uomo Ragno e di Iron Man per pubblicare fumetti a marchio Star Wars.
Disney dispone inoltre di canali televisivi dedicati ad un pubblico teen ai quali viene dedicata la serie animata che va a dare il cambio all’ambiziosa The Clone Wars: Star Wars – Rebels. Notare come in questo caso sia stato scelto di non cambiare lo showrunner: Dave Filoni.
Ritorno alle origini
Già da Rebels le intenzioni della casa di Topolino sono chiare: tornare alle origini e alle radici. Basta gli scintillanti scenari visti nella trilogia Prequel, via navette cromate e largo a pezzi di ferraglia superveloci. Via il grosso delle spade laser e bentornati fulminatori, via gli articolati e insoliti touch screen e vengano avanti i pannelloni con lucine e interruttori anni ’70 e tornino le basi dei cattivi ad offrire precipizi profondissimi attraversati da passerelle sottili come capelli.
Viene fatto un lavoro di recupero senza pari dei lavori di Ralph McQuarrie, storico concept artist della trilogia originale e tutto ciò che fa la Disney sembra avere un messaggio chiaro: torniamo a casa.
Non è un caso che nel full trailer di Episodio VII vengano inquadrati un attempato Harrison Ford nei panni di Han Solo intento a dire a Chewbacca “Ciube, siamo a casa” scatenando applausi tra il pubblico della Celebration e una pioggia di like su YouTube.
Pre e Post Risveglio (della Forza)
Eppure…
Eppure dietro a remoti monitor legioni di scettici delle produzioni Disney sono già pronti ad affossare i film prima che escano. Nascono battaglioni di “puristi di Lucas” come terrapiattisti e Episodio VII esce a Natale 2015, accompagnato da una campagna pubblicitaria senza precedenti di Lucasfilm e un altrettanto forsennata battaglia denigratoria.
Il film va oltre il dividere, spacca il fandom in tre: c’è chi lo considera un rifacimento ben troppo ruffiano del Guerre Stellari originale (con un pizzico di “Il Ritorno dello Jedi“), chi lo smonta in quanto “illegittimo” e chi lo accoglie di buon grado.
I nuovi protagonisti vengono accolti in maniera altrettanto divisa dalla base che litiga su Rey, Finn e Poe Dameron. La figura più controversa tuttavia e più generante discussioni è quella del villain: Kylo Ren, interpretato dal bravo Adam Driver.
I primi giudizi
Chi ha ragione? Tutti. E nessuno. Episodio VII è un film fatto per riportare a Star Wars la grossa fetta di pubblico perso dalla serie con gli episodi della trilogia prequel. E’ un film di intrattenimento avvincente e dal ritmo serrato, divertente e ben girato che regala allo spettatore nella sequenza finale alcuni dei momenti più alti mai toccati da Guerre Stellari, dove però manca l’elemento della novità.
Se dell’assenza di Lucas se ne beneficia al pensiero che non ci sono più midi-chlorian e la Forza torna ad essere ammantata di misticismo e non ci sono più presunti Messia della Forza privi di padre, l’assenza pesa quando si arriva a constatare che non c’è più un autore in grado di “inventare il nuovo”. Astronavi, costumi, droidi e persino le basi del nemico sanno tutti di già visto.
J.J. Abrams cede il testimone dell’episodio successivo a Rian Johnson, tra i due film tuttavia c’è tempo di narrare le gesta di quegli agenti ribelli che ottengono la loro prima vittoria contro il malvagio Impero Galattico: esce Rogue One: a Star Wars Story, capostipite degli spin off della saga.
Il primo spin-off
Non mancano critiche nemmeno per questo film: la ricostruzione digitale del Grand Moff Tarkin di Peter Cushing viene vista come una mancanza di sensibilità da parte della Disney. Ben prima che il film esca nelle sale viene già tacciato di essere un prodotto di qualità scadente con buchi di trama vista la decisione dei vertici Lucasfilm di rigirare parti del film ritenute “non all’altezza”.
Rogue One esce nelle sale nei giorni di Natale 2016 ed è un trionfo di critica e pubblico: l’affluenza in sala è minore rispetto a Episodio VII, la campagna pubblicitaria che anticipa il film è ridimensionata rispetto al film del 2015 ma il risultato convince e diverte.
Lo stesso George Lucas che accolse con ostilità Episodio VII parla del nuovo film in termini entusiasti. Rogue One segna il ritorno al cinema di Darth Vader e lo fa con due sequenze inutili per la trama, ma dalla resa visiva maestosa e celebranti la personalità “larger than life” del più grande villain di sempre.
Rogue One è un film importante anche perché canonizza un personaggio finora apparso nella serie Clone Wars: Saw Guerrera, affidato all’interpretazione del premio Oscar Forest Whitaker.
Se Episodio VII era stato un colpo al bersaglio privo di centro, Rogue One è pari a due razzi che si infilano nel canale di scarico della Morte Nera provocando una reazione a catena: c’è di nuovo fiducia, c’è ancora speranza.
Gli Ultimi Jedi
Eccoci arrivare a Natale 2017 ed ecco che Episodio VIII arriva nelle sale cinematografiche. La sera della prima, la stampa americana parla di un trionfo, del “miglior film di Guerre Stellari di sempre”, nelle sale i fan sono di diverso avviso. Stavolta il film viene ritenuto “inguardabile“, “un’offesa alla saga“, “la pietra sulla tomba“, “la fine di un amore“. I commenti negativi di una parte di fandom sovrastano i commenti positivi di gran lunga, complice il ruolo dei social media. Eppure…
…eppure Rian Johnson c’ha provato. Ha voluto fare un film con temi originali cercando di svecchiare le dinamiche di Star Wars rendendo la storia legata più al “cosa le persone fanno” piuttosto che “di chi sono figli/e”, cercando così di andare in barba ad uno dei capisaldi del fantasy.
Vengono profondamente rinnovati personaggi come Yoda, salutato a bordo di uno speeder nella primavera del 2005 durante le proiezioni di Episodio III mentre diceva “in esilio devo andare, fallito io ho“.
L’apparizione di Yoda in Episodio VIII è l’urlo del regista Rian Johnson: il maestro Jedi in una veste quantomai simile a “l’Impero Colpisce ancora” afferma che il fallimento è “il più grande dei maestri” e invita un Luke Skywalker mai così in forma e affascinante a riprendere il suo ruolo nel conflitto galattico.
L’ambizione di Episodio VIII
Chi esce meglio dal film è proprio Luke, il protagonista della trilogia originale torna ad essere il centro di tutto Guerre Stellari, passando avanti al defunto padre per importanza.
Episodio VIII rimescola le carte in gioco nella terza trilogia, demolisce certezze e aspettative dei fan e segna una volontà di muoversi in una nuova direzione senza guardare in faccia a nessuno.
Per farlo, l’ottavo film mescola sequenze visivamente grandiose a citazioni di Kurosawa, una rilettura dell’addestramento Jedi, un pizzico di gusto retrò e una profonda riconsiderazione di quelli che fino all’istante prima della visione furono i principi base di Guerre Stellari. Pochi fan, nel vortice dei commenti negativi, gridano al capolavoro, ma sono troppo pochi per essere uditi.
Il caos in Lucasfilm e il secondo spin-off
Il coraggio del regista, tuttavia, non è quello di Lucasfilm che mai come ora appare nel caos: la Kennedy silura Colin Trevorrow, regista di Jurassic World a cui già era stato assegnato il compito di chiudere la nuova trilogia.
La stessa Kennedy a inizio 2017 silurò Lord e Miller, registi del secondo spin-off: Solo: a Star Wars Story, saliti alla ribalta con “The LEGO movie“, dimostrando un’attitudine alla direzione del tutto simile a quella di Darth Vader ne “L’Impero colpisce ancora”, mentre strangola ufficiali imperiali rei di averlo deluso.
Il malcontento causato da “Gli Ultimi Jedi” infetta Solo che diventa l’incasso peggiore della saga al botteghino. Il film viene condannato da una parte di fandom prima dell’effettiva visione perché “irrispettoso nei confronti di Harrison Ford” e i rumor che rimbalzano in rete sulla presunta incapacità attoriale di Alden Ehrenreich non fanno buona pubblicità al film.
Solo, tuttavia, è un film narrante il più classico “cammino dell’eroe”, il ragazzo dei quartieri bassi si trasforma nella canaglia più amata della galassia e lo fa con un Woody Harrelson che da solo vale il prezzo del biglietto. Il film contiene una delle più maestose sequenze realizzate per il nuovo ciclo di Guerre Stellari: la rapina al treno avente come sfondo la bellezza mozzafiato delle Dolomiti.
L’ascesa di Skywalker
J.J. Abrams torna dietro la macchina da presa per Episodio IX per chiudere ciò che ha iniziato. Il regista scrive la fine di Star Wars nel più classico, romantico e nostalgico modo in cui si chiude un’epopea. Per farlo tira fuori dal cassetto l’Imperatore Palpatine di Ian McDiarmid: malvagio per eccellenza introdotto ne “l’Impero Colpisce Ancora” (ma interpretato da McDiarmid solo da “Il Ritorno dello Jedi”, NdA.).
In Episodio IX tornano tutti i capisaldi della serie, se ne va ancora una volta il coraggio e durante (e soprattutto) a seguito della visione del film nello spettatore alberga il sospetto che forse la nuova gestione Lucasfilm non sapeva dove questa trilogia doveva andare a parare.
Questo fatto non sarebbe nemmeno un male: dopotutto nemmeno George Lucas ai tempi del primo Guerre Stellari sospettava il successo stratosferico che avrebbe avuto il film, tale da giustificare la produzione di seguiti e prequel.
Si percepisce tuttavia in ben più di un momento quanto i due registi abbiano volontà differenti nel raccontare le vicende degli eroi e abbiano, altresì, punti di vista differenti su cosa sia e cosa non sia importante in una storia di lotta del Bene contro il Male.
Episodio IX chiude degnamente la nuova trilogia e mette un ulteriore “punto” sulla fine della dinastia degli Skywalker più che su Star Wars (e tutto ciò che compone il suo universo) in sé.
The Mandalorian
Prima dell’arrivo nelle sale di Episodio IX, Disney inaugura in USA, Canada e Paesi Bassi Disney+, piattaforma di streaming con contenuti esclusivi dedicati ai grandi marchi di casa Disney: Marvel, Pixar, National Geographic e inevitabilmente Lucasfilm e Star Wars.
Ad inaugurare le produzioni starwarsiane arriva “The Mandalorian“, produzione guidata dal regista dei primi due Iron Man, Jon Favreau, con la produzione esecutiva dell’enfant prodige di casa Lucasfilm: Dave Filoni. Il quale è riuscito a produrre una nuova serie animata a seguito di Rebels: Star Wars – Resistance e addirittura rinnovare The Clone Wars per un’ulteriore stagione di successiva uscita su Disney+.
“The Mandalorian” trainata da un protagonista nell’iconica armatura già indossata dall’amato Boba Fett e dal fenomeno “Baby Yoda“, un esemplare bambino della stessa razza aliena del maestro Yoda si conquistano il favore di un’ampia fetta di pubblico che accoglie la serie come un “gioiello nella galassia di SW“.
Titoli di coda
Si chiude così, con Episodio IX e l’episodio finale un ennesimo atto della lunga vita di Star Wars. Un atto controverso forse, che ha incontrato l’affetto dei fan di più vecchia data e incassato le critiche più amare da quella generazione cresciuta con gli episodi I-II-III, ma è certo alla fine di questa fase che questi film e questa galassia avranno ancora molto da dire.
C’era necessità di scrivere una terza trilogia? Sicuramente no: una buona fine alle vicende narrate era stata data già ne “Il Ritorno dello Jedi“, così come non era necessario realizzare tre prequel per raccontare la storia del giovane Jedi di nome Darth Vader (Anakin Skywalker) che “tradì ed assassinò” il padre di Luke.
E’ stato voluto che Star Wars tornasse al cinema nel periodo in cui l’eterno rivale, Star Trek, ha subito un profondo rinnovamento operato da un J.J. Abrams più coraggioso e libero. Rinnovamento continuato poi con la serie Discovery (in onda su Netflix) e che ora si appresta a riabbracciare con nostalgia il capitano Picard di Patrick Stewart.
Star Wars è tornato al cinema e nella quotidianità giocandosi la carta della nostalgia del glorioso passato piuttosto che offrire subito al grande pubblico contenuti nuovi (che Lucasfilm ha già cominciato ad annunciare).
Tiriamo le somme
Questo potrebbe far condannare il ritorno della grande saga come una mera operazione commerciale priva di sentimento e mirata solo a massimizzare i guadagni. Tuttavia si sono avvicendati dietro la macchina da presa una serie di registi cresciuti davanti alla tv da una balia che segna lo stato dell’arte del genere space opera dal 1977. Interpretato inoltre da ragazzi che hanno visto le videocassette dei primi film fino a consumarle e – più in generale – da Episodio VII a Episodio IX, passando per gli spin-off e la serie, la grande costante che attraversa tutte le nuove produzioni è l’amore sconfinato per questa serie e questi personaggi, per quelle astronavi e gli inospitali pianeti a volte innevati e a volte desertici.
La Terza Trilogia di Guerre Stellari ed i film nati sotto la gestione Disney non sono i migliori prodotti starwarsiani, ma sono ben lungi dall’essere i peggiori. Allo spettatore è riservato il compito di parlare e rivedere i capitoli di questa complessa dichiarazione d’amore: forse impacciata, ma romantica come un tramonto sotto i Soli Gemelli di Tatooine.
PS. Fate sempre a voi stessi il favore di andare al cinema. Per qualsiasi film, a qualunque costo. In un’epoca cinica i film sono ancora in grado di regalare ore di magia.